3.3.2. - PROGETTAZIONE
CONTINUA
- Analisi delle statistiche e il dilemma dell’editore
Ogni visita a un sito viene registrata dal server che
lo ospita e lo mette a disposizione del pubblico. E poiché
un server è un computer, lo si può dotare di un software
che tenga il conto delle visite e di tutte le loro caratteristiche.
Quanti hanno fatto visita al sito? A che ora sono arrivati?
Da dove? Si tratta di visitatori ripetuti o di nuovi utenti?
Quali pagine hanno scelto di scaricare, individualmente
e in media? Seguendo quali percorsi all’interno del sito?
Ovviamente, si può sapere ancora di più se i visitatori
sono indotti a registrarsi e a scrivere qualcosa di più
di se stessi. Ma già così, le caratteristiche del pubblico
sono ben analizzate.
Si può scoprire se le visite arrivano dal luogo di
lavoro o da casa, se ci si ferma a quanto è pubblicato
in home page o se si va oltre. E si può sapere quali
sono gli argomenti più cliccati e quelli che la gente
non approfondisce.
Di fronte a queste statistiche, gli editori e i responsabili
manageriali del sito possono essere indotti a ingarbugliarsi
in un dilemma classico. Meglio puntare tutto sugli argomenti
che la gente clicca di più? Oppure è meglio mantenere
viva l’attenzione anche su altri argomenti che la gente
clicca poco ma che secondo la linea editoriale della
testata vanno seguiti?
La scelta sta ovviamente ai direttori. Si deve scegliere
se cercare un pubblico numeroso che si concentra su
poche pagine o su un pubblico variegato che si disperde
su molte pagine ma che si ritrova nella linea complessiva
del giornale.
Non esiste la risposta giusta al dilemma.
Una cosa sappiamo, però: se un sito si propone come
giornale online, deve scegliere un argomento e seguirlo
con indipendenza e coraggio, cercando la propria identità
tanto quanto si impegna a soddisfare il pubblico. Concentrarsi
solo sui capricci del pubblico alla fine riduce l’identità
del giornale a un fenomeno ondivago e impedisce l’affezione
che si riserva solo a qualcosa che ha una personalità.
Anche se un sito è iperspecialistico, diciamo che parla
di telefonini Umts, non potrà parlare solo dei modelli
più diffusi, anche se i lettori andranno prevalentemente
sulle pagine dedicate a quelli. Ma la definizione di
giornale dei telefonini Umts cesserebbe di essere vera
se quel giornale parlasse solo dei modelli più popolari.
E lo stesso è vero per un giornale generalista: se
un quotidiano non parlasse di politica estera, nonostante
che in Italia questo argomento produca pochi clic (se
non in circostanze particolari), alla fine perderebbe
credibilità. E perderebbe l’opportunità di sedurre i
lettori con contenuti che questi non si aspettavano
di voler seguire.
- Il tema della credibilità del giornale
La credibilità si conquista a fatica e si perde in
poco tempo, dicono i vecchi capiredattori. Il motivo
per cui un lettore dedica il suo tempo a visitare il
sito di un giornale è legato a quello che crede di trovarci.
L’identità e il coraggio con il quale un giornale persegue
la sua linea editoriale dichiarata è la fonte primaria
della sua credibilità. Che diventa sempre più elevata
man mano che il giornale mantiene le sue promesse e
man mano che i lettori se ne rendono conto. Se un giornale
promette scoop e trova il modo di pubblicarli davvero
la sua credibilità aumenta. Ma anche se un giornale
promette non scoop ma approfondimenti solidi e chiari,
la sua credibilità è destinata a crescere nel tempo.
Quello che non andrebbe sarebbe un giornale che promette
scoop e invece offre degli ottimi approfondimenti: dopo
un po’ il suo pubblico si stancherebbe e il lavoro per
fare gli approfondimenti sarebbe sostanzialmente sprecato.
Lo stesso vale per un giornale dichiaratamente riflessivo
che invece di punto in bianco si mette a puntare sulle
notiziole inedite di gossip.
Ma anche altri elementi delle pagine di un giornale
online influiscono sulla sua credibilità. Il centro
di studi sulla credibilità del Web, all’università di
Stanford, in California, ha dimostrato che persino la
qualità dei banner che si pubblicano sulle pagine sono
importanti per la credibilità dell’insieme del giornale
online.
Se ne sono accorti i grandi portali italiani che nel
corso del 2002, molto magro dal punto di vista delle
entrate pubblicitarie, hanno rimpinguato i loro bilanci
con una quantità pazzesca di banner sostanzialmente
porno che invitavano i lettori a scaricare suonerie
e loghi particolari per i loro telefonini. Questi inserzionisti
avevano molti soldi a disposizione perché il loro modello
di business era particolarmente efficace: i lettori
che volevano un logo per il telefonino dovevano comporre
un numero di telefono a pagamento e restare in linea
per qualche minuto, pagando cifre anche significative.
Sarà stato un bene per il bilancio pubblicitario dei
portali e di qualche giornale. Ma di sicuro non ha aggiunto
credibilità alla loro informazione: forse non solo per
questa ragione, ma proprio nel 2002, in Italia, le pagine
di informazione pubblicate dai portali hanno perso la
prima posizione nella classifica dei servizi più visitati
a favore delle pagine di informazione proposte dai giornali
online. Anche in questo caso la credibilità ha giocato
un ruolo decisivo.
La credibilità di un articolo, poi, aumenta se si pubblica
una foto dell’autore oltre alla sua firma. E, piaccia
o no, va meglio se quella foto riprende l’autore in
un atteggiamento piuttosto formale e non in una posizione
strana o comunque informale. Quest’ultima notazione
probabilmente vale di più per certe comunità e meno
per altre. Ma vale la pena di ricordare che persino
tra gli hacker che amano il sistema operativo Linux
si vanno diffondendo le giacche e cravatte: come hanno
mostrato, con stupore, le cronache del Linux World del
2003.
Indubbiamente, la credibilità si costruisce nel tempo.
E dunque contano molto anche le parti del sito che durano
nel tempo. La facilità e simpatia dell’interfaccia,
la qualità delle directory, la coerenza della linea
editoriale, sono le strutture di lungo termine sulle
quali si basa il valore di lungo termine del giornale
online, cioè la sua credibilità.
- Cercare la leadership nei filoni contenutistici prescelti
Il giornale dichiara con la sua struttura di quali
argomenti vuole parlare. Il menu delle sezioni ne dà
di solito una chiara visione d’insieme. In quei filoni
di ricerca e con la periodicità dichiarata (dal sempre
aggiornato all’aggiornamento mensile) il giornale deve
puntare ad essere il migliore.
Quindi è meglio rinunciare a qualche argomento nel
menu piuttosto che prometterne la copertura e poi non
farcela a mantenere la promessa. Situazioni del genere
sono peraltro molto diffuse.
È un momento delicato nella progettazione iniziale,
che invece deve diventare un argomento per la progettazione
continua.
All’inizio, di solito, i tecnici che costruiscono il
sito giornalistico dal punto di vista informatico dichiarano:
occorre sapere in anticipo tutti i bottoni che chi fa
i contenuti vuole mettere in home page, tutti i capitoli
del menu, tutte le rubriche e i rimandi che vi si vogliono
prevedere. In quel momento, i giornalisti che partecipano
alla progettazione possono scegliere in base alle esigenze
della tecnologia e mettere un bottone di troppo, quello
dell’argomento che non si riuscirà a seguire e che renderà
poco credibile il giornale nel suo complesso. Oppure
scegliere in base alla linea editoriale e non mettere
quel bottone di troppo. Rischiando di dover poi convincere
i tecnici a fare uno sforzo in seguito per aggiungere
un bottone al momento giusto.
Le tecnologie, peraltro, diventano ogni giorno più
flessibili. E meno costose. Vale la pena di insistere
con la richiesta di flessibilità giornalistica. Perché
prima o poi si otterrà il risultato.
A quel punto, però, anche i tecnici saranno soddisfatti
se e solo se i bottoni prescelti saranno quelli che
la struttura giornalistica saprà valorizzare al meglio.
Come? Tutti i mezzi tradizionali usati dai giornali
sono buoni anche online. Puntare agli scoop, alla scrittura,
agli approfondimenti o ai commenti autorevoli, puntare
sulle firme o sulla spettacolarità delle immagini, sulla
tenuta dell’aggiornamento a ogni ora del giorno e della
notte, o su un ritmo fondato sulle esigenze più frequentemente
manifestate dagli utenti.
Ma si possono sperimentare anche strumenti specifici.
Una soluzione interessante è stata trovata tempo fa
da Time. Il settimanale americano ha trovato il modo
di esprimere alcuni suoi reportage di guerra in un linguaggio
multimediale e usando molto la diretta. Ma non puntando
sull’inserimento di video da giustapporre ai testi.
Ha piuttosto trovato una soluzione molto adatta al Web
che si fonda sul testo e l’audio. I risultati sono stati
spesso molto belli. Il testo scorreva aggiornandosi
in continuazione. Mentre i suoni della battaglia venivano
registrati e pubblicati in modo che il pubblico li percepisse
mentre avanzava nella lettura del testo dettato dal
corrispondente. Anche l’innovazione degli strumenti
espressivi e l’uso creativo della tecnologia, dunque,
può essere usato per fare avanzare la credibilità di
un giornale e condurlo alla leadership nei suoi argomenti.
Se un giornale trova un nuovo mezzo espressivo che valorizza
le caratteristiche del Web, gli altri lo seguiranno.
E i lettori si renderanno conto di chi è il leader.
- L’offerta crea la domanda
Già il leader. Nel Web il leader non è chi comanda,
ma chi guida. In fondo questo è sempre più vero anche
nella vita fuori da Internet.
E chi è che guida? I giornali leader sono quelli che
esprimono una visione e la perseguono, la sanno comunicare,
riescono a condividerla con il pubblico che la fa propria
e contribuisce a realizzarla. Se si riesce a creare
questo rapporto, un po’ magico tra guida e comunità,
il successo del giornale è molto probabile. Perché a
quel punto non resta che far quadrare i conti (ironia
della sorte, questo non è per niente facile anche per
i giornali leader).
Nell’esprimere la loro visione, i giornali propongono
soluzioni, idee, strumenti tecnologici che il pubblico
non sapeva di volere ma che adotta una volta trovatosi
di fronte alla possibilità di usufruirne. E poiché in
Rete l’innovazione è ancora veloce e la creatività delle
soluzioni è ancora potenzialmente molto elevata, è difficile
che sia la domanda a determinare l’offerta. Molto più
spesso avviene che l’offerta prova a proporre delle
soluzioni e che alcune di queste vengano accettate dalla
domanda.
Nei settori mediatici più maturi, le ricerche di mercato
sono la soluzione per scoprire che cosa vuole il pubblico
e su questa base costruire i prodotti offerti. Nei settori
maturi, la domanda crea l’offerta.
Nei settori immaturi, invece, l’offerta crea la domanda.
E Internet è ancora immatura.
Ma questo non significa che non si debba guardare oltre
a questa fase. Non sarà sempre così. Alla fine, prevarrà
non ciò che vince subito. Ma quello che risolve problemi
veri, sentiti dal pubblico.
- “Chi vince piglia tutto” è ancora la regola vincente?
Un’osservazione molto ripetuta è vera ma meno di quanto
si pensi: nella competizione per la conquista dell’attenzione
del pubblico in Rete i vincitori tendono a lasciare
ben poco spazio ai secondi e terzi arrivati. L’idea
che su Internet «chi vince piglia tutto» appare ovviamente
come un corollario della legge di Metcalfe, che sostiene
che il valore di una rete cresce esponenzialmente con
il numero dei suoi utenti, ma è stata confermata anni
fa dalle ricerche sulla dinamica del traffico nel Web
realizzate al Parc della Xerox in Silicon Valley.
I ricercatori del Parc osservavano che, per ogni categoria
di sito Web, i navigatori tendevano nel tempo a concentrarsi
sui siti più popolari e ad abbandonare progressivamente
quelli meno visitati. Il che era logico: i primi in
classifica attraevano più risorse dunque potevano migliorare
e conquistare nuovi utenti, staccando ogni giorno di
più gli ultimi in classifica.
Ma, appunto alla luce della legge di Metcalfe, questo
fenomeno poteva essere presentato come una regola generale
per tutta la competizione sul Web: non solo per i siti,
dunque, ma anche per i servizi e per le tecnologie.
E dunque una delle dinamiche più interessanti che si
sono andate alimentando nel settore è stata quella che
ha portato le aziende, i portali, le organizzazioni
e le comunità a cercare di conquistare in fretta il
maggior numero possibile di utilizzatori per poter conquistare
quel primo posto nella classifica che sembrava destinato
a garantire grande prosperità.
E ogni candidato a raggiungere la prima posizione in
una classifica qualunque, purché avesse a che fare con
la Rete, diventava automaticamente anche un candidato
ad essere finanziato generosamente dal venture capital
e soprattutto dal popolo dei risparmiatori attratti
dalla borsa.
Nuovi imperativi si sono allora affacciati all’orizzonte
del pensiero manageriale e strategico. Per alcuni era
per esempio obbligatorio far parte del gruppo dei cosiddetti
first movers, cioè di coloro che innovano per primi
e che per questo conquistano per definizione il primo
posto in classifica. Per altri, occorreva essere i più
agili, cioè coloro che nelle condizioni continuamente
mutevoli del mercato della Rete riuscivano a cambiare
velocemente strategia, ad adottare immediatamente le
innovazioni introdotte da altri in modo da mantenersi
in corsa. Moltissimi continuavano invece a pensare che
alla fine avrebbero vinto semplicemente i più ricchi.
Ma in questa varietà di interpretazioni strategiche,
nessuno metteva in discussione l’osservazione degli
scienziati del Parc. I quali precisavano che «chi vince
piglia tutto» vale per tutte le diverse categorie di
sito Web: i portali generalisti, i siti di giardinaggio,
i notiziari e così via. Dunque il tema più importante
della strategia competitiva diventava non la qualità
del contenuto e del servizio offerto ma la definizione
della categoria alla quale si sceglieva di partecipare
con il proprio contenitore.
Di qui, una fioritura di concetti straordinariamente
creativi. La competizione nei portali generalisti era
ormai stata vinta dai grandi Yahoo!, Aol e Mns? Poco
male, perché si poteva inventare la nuova categoria
dei portali verticali, i vortal, che a sua volta si
suddivideva in decine di categorie diverse: vortal per
la nautica, per l’abbigliamento, per l’astronomia, per
gli animali domestici, e così via. Chi perdeva la competizione
nei siti di informazione sul lavoro poteva sempre riproporsi
come sito di job posting. O viceversa. E chi comunque
aveva difficoltà a trovare una classifica nella quale
primeggiare poteva sempre saltare il problema alla radice
e proporsi come consulente che aiutava i clienti a diventare
category builder.
Chi abbia vissuto quegli anni Novanta non può che sorridere
alla quantità di nuove parole che sono nate in quel
periodo. Molte erano proprio motivate dall’imperativo
di primeggiare in una classifica con la libertà, in
mancanza di meglio, di inventare la classifica stessa.
La conseguenza di tutto questo però è stata una strategia
concentrata sulle apparenze, le definizioni, l’immagine,
gli slogan e le spese in pubblicità.
Cosicché, il marketing è diventato per un certo periodo
la funzione centrale e il principale investimento delle
aziende orientate a sfruttare il boom della Rete. Le
dot-com in particolare usarono la stragrande maggior
parte del capitale finanziario raccolto per due funzioni:
remunerare le banche che le avevano aiutate a raccoglierlo
e investire in pubblicità. La costruzione dei servizi
interattivi digitali destinati a soppiantare i concorrenti
tradizionali ne risultò inevitabilmente rallentata.
È molto difficile non notare che in un contesto del
genere non poteva che avvenire quello che è avvenuto:
non tutti sono riusciti a primeggiare in una qualunque
classifica e dunque molti sono scomparsi. E in ogni
caso, la concentrazione sull’immagine a scapito della
sostanza non ha ridotto la credibilità dell’insieme
delle iniziative internettiane. È come se la frenesia
di vincere avesse contribuito a lanciare in fretta e
a consumare altrettanto in fretta l’innovatività di
quel periodo. Occorre trovare nuovi modi per alimentarla.
- L’integrazione di strategie online e offline nel
rapporto col pubblico
Un progetto di giornale online può essere pensato come
un fatto puramente internettaro oppure integrato con
strategie offline che lo rendono più presente nel sistema
dei media e più completamente accessibile al pubblico.
Non c’è motivo di preferire l’uno o l’altro approccio
a priori. Purché non ci si ponga in un’ottica integralista.
Se ne sono già viste e sentite molte di filosofie esagerate
del tipo «tutto ciò che è interessante è in Rete e dunque
nulla di più è necessario». Perché qualunque cosa ci
sia in Rete non è l’unico modo di trovarla.
In ogni caso, si può anche progettare un giornale che
si trovi solo online.
Un giornale che vive solo online è meno costoso da
realizzare. Può funzionare soprattutto se è pensato
per precise nicchie di interessi e comunità ben funzionanti.
Perché i giornali online si devono far trovare. Inutile
pubblicizzarli con investimenti giganteschi: si perderebbe
tutto il vantaggio dell’economicità del mezzo e non
si otterrebbe nulla di solido. Un giornale online che
non si conosce si abbandona facilmente. A meno che non
ci sia un motivo più cogente che mi spinge a consultarlo:
il fatto appunto che esprima l’informazione della comunità
cui si sente di partecipare.
Una strategia che invece si estenda dall’online all’offline
ha peraltro perfettamente senso. In fondo, non stiamo
parlando di creare un dimostratore dell’utilità di Internet.
Stiamo cercando semplicemente di costruire un sistema
di comunicazione tra un insieme di fonti, una redazione,
un pubblico e… viceversa.
I giornali online che hanno una versione offline, come
i quotidiani tradizionali e i notiziari televisivi,
ovviamente sono facilitati. Anche se spesso la strategia
dei media tradizionali non tiene adeguatamente conto
della versione online. Quando accade, per la verità,
ne traggono vantaggio tutti.
Ancora più interessanti sono i giornali nati online
che trovano il modo di manifestarsi anche con altri
media. Ci era riuscito per esempio Yahoo! con il mensile
«Yahoo! Internet Life» che narrava le cronache della
Rete e segnalava i siti più interessanti da visitare.
Ma si può pensare anche a esperienze come quella dell’associazione
«Equiliber», nata per pubblicare online gli studi più
aggiornati sulle conseguenze sociali e culturali dell’innovazione
tecnologica, ma che trova il modo di manifestare le
sue azioni anche in convegni e serate culturali. Insomma:
si può pensare a un progetto nuovo, centrarlo sui vantaggi
che Internet offre alla pubblicazione ma non ridurlo
ad essi.
Alla fine, ciò che va progettato più seriamente è la
competenza di una redazione e la sua capacità di servire
il pubblico in tutti i modi in cui può
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Riferimenti:
Uno studio approfondito della credibilità del Web è condotto
all’università di Stanford in California. I suoi concetti
base si trovano online su: http://captology.stanford.edu/pdf/4
Altre notizie su: http://www.webcredibility.org/studies.
La credibilità del web, d’altra parte, è uno dei principali
problemi sui quali si concentra l’interesse per internet delle associazioni
di tutela dei consumatori: http://www.consumerwebwatch.org/.
Sullo stesso sito potrete trovare informazioni e aggiornamenti sul primo
WebWatch National Summit on Web Credibility, previsto per il 24 aprile
a New York: http://www.consumerwebwatch.org/summit2003/agenda.html.
Ma non c’è solo la credibilità
dei siti. C’è anche il tema di come i siti
manipolano i lettori o almeno si impongono alla loro
attenzione, per rendere credibile quello che propongono.
Ed è il tema per esempio del libro di B.J. Fogg,
Persuasive Technology, Using computers to change what
we think and do, Morgan Kaufmann Publishers, San Francisco,
2002. Per acquistarlo online: http://persuasivetech.info/
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