3.2. –DEFINIZIONE DEL
GIORNALE COME PRODOTTO
Carl Shapiro e Hal Varian spiegano con chiarezza quali
siano le conseguenze del fatto che i giornali, come tutti
i beni di informazione, sono «beni esperienza», cioè sono
prodotti dei quali i consumatori possono giudicare il
valore solo dopo averli consumati.
«Le attività economiche che hanno come oggetto l’informazione
– quali quelle nel campo dell’editoria, della musica e
dell’industria cinematografica – hanno sviluppato varie
strategie per spingere i consumatori a superare la loro
riluttanza ad acquistare informazione prima di sapere
che stanno acquistando» scrivono Shapiro e Varian. Molte
di queste strategie sono rivolte a creare aspettativa
sul prodotto attraverso una sapiente opera di diffusione
della parte del contenuto che si pensa possa incuriosire
il pubblico e indurlo a cercare di scoprire il resto.
Ma «la maggior parte dei produttori risolvono il problema
connesso alla vendita di beni informazione facendosi un
nome (o meglio un marchio) e investendo in reputazione».
Tutto questo vale per un sito giornalistico su Internet
esattamente come per un quotidiano di carta o per un
film. E un marchio può essere nato su quel medium oppure
arrivare da un altro medium. Ma il prodotto deve prima
di tutto funzionare per quel medium. È evidente che
il sito giornalistico della «Repubblica» ha tratto giovamento
dal fatto che il marchio del giornale cartaceo era tanto
forte. Ma più importante è stato il fatto che la «Repubblica»
ha saputo pensare bene al sito e investire il giusto
per farlo crescere. Per questo è il primo sito giornalistico
italiano. Discorso analogo si può fare per il sito del
«Sole 24 Ore». Ma quello che conta osservare è che non
tutti i marchi famosi in un medium sono riusciti a riversare
la loro forza anche su Internet, se non hanno affrontato
correttamente il nuovo medium. Lo stesso «Corriere della
Sera» ha impiegato anni a definire la propria strategia
per la Rete. E solo quando l’ha fatto ha ottenuto successo:
prima il suo fortissimo marchio non contava nulla per
gli utenti di Internet. Solo quando il sito ha assunto
una veste studiata e comprensibile per il Web, quando
l’editore ha deciso di investire per farlo crescere,
quando ha avuto una consistente redazione, solo allora
il marchio del «Corriere» ha cominciato a contare anche
in Rete.
Il fatto poi che si osservi come la maggior parte delle
visite a giornali online siano dirette a giornali che
hanno una storia anche fuori dalla Rete e che anzi proprio
nella carta hanno costruito il proprio marchio, significa
che le organizzazioni editoriali tradizionali hanno
ancora molto da insegnare. Anche nell’epoca del Web.
Il che però non esclude che le organizzazioni nate per
il Web non riescano a sfondare.
I portali come Libero, Virgilio e Tiscali non sono
certo forti nell’informazione come «Repubblica», «Corriere»
e «Stampa». Eppure le pagine di informazione che propongono
sono spesso più viste di quelle dei giornali più blasonati.
Di certo pesano meno sulla vita politica e sociale.
Per ora.
Il confronto tra i concorrenti in Rete è dunque basato
sulla competizione per dare credibilità al marchio nel
nuovo medium.
Per arrivarci ci si può lasciar guidare da una passione
editoriale che si persegue senza guardare in faccia
a nulla. Oppure si può partire dall’analisi del pubblico
di riferimento, dei suoi bisogni, della concorrenza.
Anche questo non si fa nello stesso modo che per gli
altri media.
Nell’analizzare il pubblico, nei media tradizionali,
di solito si parte dalla definizione del target e si
definiscono i bisogni da soddisfare in modo migliore
di quanto non faccia la concorrenza. Ma su Internet
più che di target si dovrebbe parlare di community o
almeno di network.
Il concetto di target presuppone la classica relazione
che intercorre tra i produttori di informazione e il
pubblico nel mondo dei media tradizionali nati nella
società di massa all’epoca della rivoluzione industriale.
Come la produzione tayloristica tendeva a omologare
i lavoratori e i consumatori in grandi categorie nelle
quali contava la media più che la particolarità, così
i giornali e la televisione tradizionali, chiamati non
per nulla mezzi di comunicazione di massa, privilegiavano
la parte media del pubblico tralasciando le frange considerate
minoritarie. Un giornale, un telegiornale, si potevano
fare una volta sola e dovevano andar bene per la maggior
parte delle persone che ne fruivano. Dunque dovevano
essere concentrati sulla soddisfazione della medietà.
Troppo costoso era fare diversamente: così il pubblico
era da una parte, dall’altra c’era la torre d’avorio
dei produttori di notizie.
L’evoluzione di questo concetto si è palesata molto
prima del boom di Internet. La segmentazione del mercato
ha proceduto a passi da gigante. Per esempio nel mondo
dei periodici cartacei. Ma anche tra le televisioni,
nel momento in cui, per esempio, i canali a disposizione
per ogni famiglia italiana sono passati da tre a trenta.
Sta di fatto che la logica non cambiava: il pubblico
era da una parte, i produttori dall’altra. Semplicemente
questi ultimi tendevano ad ascoltare di più il pubblico,
accettandone le differenze e le nicchie che si discostavano
dalla media.
Ma con Internet tutto questo diventa tanto facile e
necessario da ridefinire il problema alla radice. In
realtà, la segmentazione del mercato, con Internet,
si può portare all’esasperazione. Le nicchie che si
possono servire in Rete sono specializzatissime, internazionali,
locali, settoriali, nazionali, professionali, irrazionali,
e così via. D’altra parte, la facilità con la quale
si può far partire un nuovo sito di informazioni online
e soprattutto la facilità con la quale il pubblico può
confrontare diversi siti di informazioni online, rende
del tutto obsoleta l’idea di fare un prodotto informativo
buono per tutti, Così i giornali tradizionali cercheranno
giustamente di inseguire anche online le persone che
li seguono sulla carta. Ma i giornali nuovi cercheranno
di servire il tempo degli utenti in modi nuovi. Ed è
probabile che questi giornali nuovi evolveranno il loro
concetto di pubblico passando dall’idea di target all’idea,
appunto, di community. Cioè tenderanno a far parte di
una community più che a colpire un obiettivo di pubblico.
Tenderanno a giocare un ruolo di facilitatori dell’incontro
tra persone che hanno qualcosa in comune ma anche qualcosa
di diverso, il che le rende reciprocamente interessanti
da incontrare. Il terreno comune sarà dato dall’animazione
del giornale online, la differenza sarà quella che le
varie componenti del pubblico si portano dietro e che
costituisce il vero interesse dei partecipanti.
Quindi, si può dire che l’analisi dei bisogni di una
community, potenziale o già esistente, si deve concentrare
sui bisogni che le diverse componenti della comunity
possono soddisfare reciprocamente incontrandosi. Gli
esempi non mancano. Il sito dei comunicatori di Igor
Righetti, appena nato, si propone esplicitamente come
Agorà perché vuole far incontrare i professionisti della
comunicazione con i loro utenti. Il sito che Yahoo!
ha messo a disposizione degli interessati alla finanza
li attrae dando loro informazioni fondamentali come
quelle della Reuters e gli indici di borsa, strumenti
fidelizzanti tipo il portafoglio virtuale e soprattutto
facendoli incontrare tra loro in un ambiente nel quale
si danno consigli a vicenda e si aggregano in gruppi
di interesse. Del resto, il successo di un’iniziativa
modaiola ma molto azzeccata come First Tuesday, nella
quale venture capitalist incontravano aspiranti imprenditori
con un’idea in testa cui mancava solo il finanziamento
necessario allo start up. E non a caso il suo sito e
le notizie che vi pubblica sono ancora utilizzate piuttosto
diffusamente nonostante che la congiuntura favorevole
agli start up sia passata. E sempre a un’idea di comunità
si ispira il sito pensato dalla Fondazione culturale
della compagnia di assicurazioni Allianz per far incontrare
i giovani artisti europei con il pubblico, la critica
qualificata, gli organizzatori di mostre e i giornalisti.
Se non è una community, quella che hanno in mente all’Allianz
è almeno un network: un insieme di collegamenti tra
persone appartenenti a categorie che hanno tutto l’interesse
a incontrarsi e che hanno bisogno di uno strumento per
farlo comodamente.
Una volta che si sia definita l’identità del giornale
online e il servizio che può svolgere a favore di una
comunità è, ovviamente, necessario studiare se non esista
già qualcun altro che gioca con successo quel ruolo.
Non è impossibile battere i concorrenti, anche se sono
arrivati prima. Ma è difficile. E più concorrenti ci
sono più il pubblico diventa complicato dal raggiungere:
come diceva il premio Nobel per l’economia, Herber Simon,
«la ricchezza di informazioni crea povertà di attenzione».
E questo riporta al tema dell’identità. Se un giornale
online ha un’identità forte, riuscirà a scrivere virtualmente
nell’agenda del suo pubblico un promemoria che lo porta
a collegarsi fedelmente alle sue pagine. Se non ha tale
identità forte, l’attenzione del pubblico finirà fatalmente
per abbandonare quel giornale. E i suoi giorni saranno
contati.
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Riferimenti:
Carl Shapiro e Hal Varian, Information Rules. Le regole
dell’economia dell’informazione, Etas, Milano,
1999.
Herbert Simon, Designing organizations for an information-rich
world, in Donald Lamberton, The economics of communication
and information, Edward Elgar, Cheltenham, 1997.
http://www.igorrighetti.it
http://www.firsttuesday.com/
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