1.3 - I VALORI ORIGINARI
DEL GIORNALISMO NELLA NUOVA PROSPETTIVA.
Luoghi comuni. Una vasta pubblicistica, doppiata da una
quantità di romanzi, film e storie a fumetti racconta
di come i giovani accedano alla professione giornalistica
sospinti da uno spirito di servizio nei confronti della
comunità: vogliono contribuire a informarla e a farle
scoprire la verità. Ma, prosegue il pregiudizio, dopo
qualche anno di professione, molti giornalisti acquisiscono
un approccio più cinico nei confronti della loro professione
e tendono a pensare all’informazione come a un prodotto,
tendono a concepire i limiti che il contesto impone alla
qualità dei loro articoli come a fattori invalicabili,
tendono a definire i valori dei giovani che accedono alla
professione come a ingenuità utili o fastidiose.
La sintesi più gustosa, più citata, più originale di questo
genere di luoghi comuni, scritta quando ancora non lo
erano, è probabilmente quella pubblicata da Carlo Collodi
nell’«Almanacco del Fanfulla per il 1872»:
«Che cos’è il giornalismo?
– Il giornalismo è un’arte – rispondono i giornalisti,
strizzando l’occhio tra loro.
– Che cos’è il giornalismo?
– Il giornalismo è un mestiere – rispondono quei ficcanaso,
che hanno avuto l’indiscrezione di stare a vedere come
si fanno e come si mandano avanti i giornali.
– Che cos’è il giornalismo?
– Il giornalismo è un sacerdozio – rispondono quelli
che non sanno mai cosa rispondono.
– Che cos’è il giornalismo?
– Il giornalismo è un pretesto per vendere la quarta
pagina – risponderebbe Oblieght».
Collodi si riferisce qui all’editore del «Fanfulla»,
l’imprenditore Ernesto E. Oblieght, uomo potente, di
certo vicino alle posizioni del governo di Agostino
Depretis, ma evidentemente anche uomo capace di accettare
l’ironia dei suoi collaboratori.
E Collodi continua:
«Ho creduto e credo sempre che il giornalismo, in Italia,
non sia altro che un patto leonino fra il giornalista
e il lettore, vale a dire molte tonnellate di parole
per pochi chilogrammi di pane. C’è chi dice che il patto
è leonino, perché il lettore si trova tutti i giorni
sacrificato barattando il pane buono con degli articoli
indigesti o andati a male. Può darsi che la cosa sia
vera, ma d’altra parte il lettore è contento, e chi
si contenta gode».
Rilette a distanza di 130 anni, queste affermazioni
suonano ormai, appunto, come luoghi comuni. Definibili
con l’ossimoro: bugiarde verità. Le generalizzazioni
sono sempre insufficienti a svelare la complessità dei
fenomeni. Ma aiutano a individuare problemi che possono
essere affrontati.
Il fatto è che i valori del giornalismo tradizionale
vanno sempre ribaditi e alimentati. Vanno coltivati
come fiori, altrimenti appassiscono.
Ecco alcune massime condivisibili, relative all’idea
di giornalismo come mestiere intellettuale, artigianato
più che arte, che ha bisogno di motivazioni insieme
etiche e professionali.
a. Imparare per lavoro. La passione delle fonti e del
racconto critico dei fatti è probabilmente il modo più
generale per parlare delle tensioni etiche che dovrebbero
muovere le persone che lavorano nel giornalismo. È quella
passione a motivare: sta poi a ognuno interpretarla
come crede.
b. Vedere con i propri occhi, oppure controllare le
notizie. Questo è davvero un elemento distintivo quanto
sottovalutato del lavoro dei giornalisti. Perché chiunque
può raccontare fatti per sentito dire, i giornalisti
dovrebbero limitarsi a quello che hanno visto o controllato:
è una discriminante che ne definisce l’identità.
Stare dalla parte del pubblico. In uno degli ambienti
più sacri del giornalismo classico, come il «New York
Times», una delle massime più azzeccate recita: «Il
pubblico è più intelligente e meno informato di quanto
pensiamo». E tanto basta per la tentazione dei giornalisti
a dare giudizi più che fatti. O almeno senza approfondire
il più possibile i fatti.
c. Semplificare, non banalizzare. Solo se si è fatta
un’analisi il più possibile completa dei fatti, li si
può raccontare in modo semplice. Altrimenti si usano
pregiudizi e circostanze note per riciclarle in chiave
banalizzante. Il linguaggio è lo strumento dei giornalisti
e non si deve confondere con la realtà. Perché questo
è forse il più grande dei rischi che oggi corre il giornalismo:
quello di divenire autoreferenziale. Il che, per la
verità, più che un rischio, è già una realtà.
L’universo di riferimento nel quale lavorano i giornalisti,
del resto, si va complicando costantemente. Il mondo
dei media è gigantesco dal punto di vista quantitativo,
ha un potere immenso, ha dinamiche spesso poco trasparenti.
E per i giornalisti la più grande difficoltà è proprio
quella di uscire dall’autoreferenzialità del mondo dei
media per andare nel mondo in cerca delle fonti originali
dei fatti e delle opinioni.
Scriveva Hans Magnus Enzensberger, peraltro molto prima
che il fenomeno della Rete esplodesse: «Negli ultimi
decenni lo sviluppo dei mezzi elettronici si è infilato
in tutti i settori della produzione [giornalistica ed
editoriale, ndr.]. Tutti questi mezzi hanno allacciato
sempre nuovi rapporti fra loro e con mezzi più antichi,
come la stampa, la radio, il cinematografo, la televisione,
il telefono, le telescriventi, eccetera. A vista d’occhio
tutti questi mezzi si sono uniti così da formare un
sistema universale».
La domanda cruciale è dunque: Internet sarà parte di
questo sistema universale, sarà una causa di semplice
riforma dei media oppure innescherà addirittura una
rivoluzione? Difficile dirlo, dopo così pochi anni.
Ma quel che è certo è che, entrata in gioco Internet,
i giornalisti sono costretti a porsi un problema decisivo:
continuare a lasciarsi addomesticare dal sistema universale
o ammettere che la concorrenza che la Rete può portare
alla professione giornalistica richiede una riflessione
urgente sulla professione in modo da renderne più chiaro
e legittimo il compito?
Recuperare i valori tradizionali del giornalismo, in
questa riflessione sarà un passaggio necessario, anche
se non sufficiente, per il successo.
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Riferimenti:
Carlo Collodi, Il giornalista, fisiologia in punta di
penna, in «Almanacco del Fanfulla per il 1872»,
vol. II, Roma 1872. Informazioni su quella mitica pubblicazione
si trovano nel sito dell’Università degli
Studi di Cassino: http://www.let.unicas.it/links/news/iermano5.htm
Alberto Cavallari, La fabbrica del presente. Lezioni
d’informazione pubblica, Feltrinelli, Milano,
1990.
Hans Magnus Enzensberger, Palaver: considerazioni politiche,
Einaudi, Torino 1976.
Hans Magnus Enzensberger: dall’archivio di Mediamente: un’intervista,
una breve biografia, pubblicati in occasione dell’uscita della versione
italiana de Il mago dei numeri (1997): http://www.mediamente.rai.it/home/bibliote/biografi/e/enzensbe.htm
Lo EJC (European Journalism Centre) è stato fondato nel 1992 con
l’obiettivo di aiutare i protagonisti del mondo dei media a rapportarsi
con i mutamenti della società e della tecnologia. E’ un istituto
indipendente e no-profit che offre corsi di aggiornamento e documentazione
con un approccio tipicamente multimediale:
http://www.ejc.nl/default.asp
L’ European Institute for the Media (http://www.eim.org/)
si dedica all’analisi dello sviluppo dei media e delle telecomunicazioni
nell’Europa digitale. Il suo compito è di favorire la libertà
dei media e la costituzione di una civiltà digitale europea. L’EIM
risiede attualmente a Dusseldorf e porta avanti le sue ricerche sul tema
dell’impatto dei media e delle nuove tecnologie sulla società
assieme a prestigiose università di tutto il mondo (Oxford, la
Columbia University di New York e la UCLA di Los Angeles). I principali
programmi dell’istituto sono dedicati alla politica e alla regolamentazione
legislativa dei media e della comunicazione in genere; allo sviluppo dell’economia
digitale e alle sue interrelazioni con il mondo dell’informazione;
al rapporto fra media e democrazia.
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